sabato 9 gennaio 2016

Consoci te stesso: tattiche di evasione


A charmed life is so rare that for every one such life there are millions of wretched lives. Some know that their baby will be among the unfortunate. Nobody knows, however, that their baby will be one of the allegedly lucky few. Great suffering could await any person that is brought into existence. Even the most privileged people could give birth to a child that will suffer unbearably, be raped, assaulted, or be murdered brutally. The optimist surely bears the burden of justifying this procreational Russian roulette

David Benatar, Better never to have been




Peter Wessel Zapffe
Con The Last Messiah il filosofo norvegese Peter Wessel Zapffe (1889-1990) segna un punto di svolta  per tutto il pessimismo filosofico: in questa sua interessante opera breve viene messa a punto una sintesi di tutto il pensiero pessimista, ne vengono sciolti alcuni nodi mentre altri sono portati al pettine. Tanto i passaggi quanto le conclusioni messe a punto da Zapffe colpiscono per l'estrema radicalità: pur essendo uno dei fondatori di quella che chiamiamo "ecosofia" Zapffe individua nella natura una componente dominante di tipo tragico, un orrore naturale onnipervasivo che si manifesta nella sofferenza e nella morte  di tutto ciò che vive. 
  All'interno della macelleria naturale l'uomo interpreta per Zapffe la parte del protagonista o meglio dell'apparente protagonista, per Zapffe infatti la coscienza umana, definita "ipertrofica", non sarebbe altro che un prodotto dell'evoluzione, un prodotto che mentre favoriva l'espansione della nostra specie contribuiva a renderci sempre più lucidi e consapevoli della carneficina che ci circonda (e di cui facciamo parte) e della sofferenza che consegue all'esistenza.
  Secondo Zapffe l'essere umano, nel corso della sua storia evolutiva, ha sviluppato e messo in pratica una raffinata strategia di evasione dal reale composta da quattro momenti; questo breve scritto tratta proprio di questi quattro momenti e delle relative conclusioni, ovvero di ciò che le "tattiche di evasione" tentano ingenuamente di nascondere alla coscienza. 


  •  Isolamento: la prima e fondamentale tattica di evasione del reale. Si tratta di una rimozione totalmente arbitraria dalla coscienza di ogni pensiero inquietante e/o distruttivo; la repressione dei pensieri negativi da parte dell'individuo si manifesta a livello sociale come una sorta di "omertà" nei confronti di alcuni temi delicati che non devono essere toccati all'interno di una conversazione, trattasi più o meno degli stessi argomenti dai quali i bambini dovrebbero essere preservati: "sesso, cesso, morte". La sfera che nei rapporti umani regolamenta le tematiche isolate è il "tatto". La scelta da parte di Zapffe dello specifico termine 'tatto' farebbe pensare in questo contesto a un duplice significato: da una parte esso rimanderebbe alla delicatezza con la quale ogni giorno (a volte con scarso successo) tentiamo di dialogare con gli altri, dall'altra si potrebbe fare riferimento al tatto necessario a comunicare una brutta notizia: 
"signora, sono davvero spiacente di comunicarle che suo figlio è deceduto questa notte in un incidente stradale; siamo tuttora impegnati nel recupero del corpo del ragazzo assieme al personale paramedico"

  sarebbe in ogni caso preferibile a:

"buonasera signora, adesso sarei piuttosto occupato perciò sarò breve: suo figlio è morto. Scusi la concisione ma in questo momento stiamo cercando la sua mano tra i cespugli".

    Sebbene l'esempio sia piuttosto iperbolico illustra chiaramente che nell'affrontare in un dialogo argomenti 'taboo' o 'difficili' è necessario praticare numerosi avvitamenti mirati a non destabilizzare la sensibilità dell'interlocutore. Disseppellire dall'isolamento argomenti come morte, pensieri suicidi, follia o mostrare disgusto per attività quali il sesso o il nutrimento, puntare l'attenzione sulla futilità di certi comportamenti o sulla vanità stessa dell'esistenza significherebbe disseppellire il rimosso, violare un contratto non scritto. Anche l'uso del termine 'disseppellire' non è qui adottato in modo casuale, per Zapffe infatti l'esperienza primordiale di isolamento è proprio la consuetudine umana di seppellire i cadaveri dei propri morti, inquietanti memento mori nonché (nella magistrale descrizione dell'isolamento tratteggiata da Thomas Ligotti) paradossali "cose" che in precedenza furono persone.
  "Isolamento" indicherebbe per estensione anche un determinato meccanismo sociale - frutto dell'adattamento della specie e volto a preservare intatti gli scopi dell'agire umano -  messo in atto dalle comunità umane: ogni gruppo tenderebbe infatti a isolare elementi che manifestino eccessivo disagio esistenziale e pessimismo o che infrangano troppo spesso le regole del tatto. Il taboo conseguente ai meccanismi di isolamento svolge perciò la funzione di struttura per tutti i rapporti umani e per i comportamenti individuali permettendo il dispiegarsi dell'attività umana e l'espansione continua delle aree in cui ciascun individuo opera (la famiglia, il gruppo, il lavoro, la società di appartenenza).
  Ciò che la rimozione maldestramente vorrebbe sottrarre agli occhi della coscienza è per Zapffe ciò che costituisce la maggiore continuità con gli altri organismi viventi, ovvero la centralità dei processi di nascita, riproduzione e morte, costellati dall'ampio corollario di tutti quegli avventimenti spiacevoli sintetizzabili attraverso la parola "sofferenza".

  • Ancoraggio: questa tattica di evasione consiste in una produzione di legami, se non addirittura di catene, che ci permettono di 'avere' una realtà o di esperirne un senso. Gli ancoraggi possono essere consci come nel caso degli obiettivi e degli scopi o inconsci come accade per oggetti posseduti, famiglia, stato e religione. La prima forma di ancoraggio è per Zapffe l'attacamento parentale infantile, un modello che funzionerà da archetipo per tutti i legami successivi - dalla scuola, al mutuo, alla penna che il mio amico mi ha rubato -. Volendo rafforzare la posizione di Zapffe sull'argomento possiamo aggiungere che da numerose ricerche è emerso come individui che abbiano vissuto un attaccamento insicuro (evitante, ambivalente o disorganizzato) possiedano un senso del sé e dell'ambiente meno netto rispetto a chi abbia instaurato un rapporto parentale definibile sano.
 L'ancoraggio è messo a dura prova in alcuni attimi epifanici, claustrofobici, spesso vissuti  proprio all'interno di un gioco sociale, durante i quali ci si avvede dell'arbitrarietà delle nostre "verità": quando si è bevuto un pò troppo o quando ci si ferma un attimo a contemplare la massa della quale si faceva parte un istante prima o quando ci si osserva in terza persona mentire ai propri familiari o quando...O quando enormi sconvolgimenti socio-politici, veri e propri spasmi della storia, travolgono le nostre vite: guerre, rivoluzioni, crisi economiche, cataclismi di ogni genere denudano la vita fino a mostrarne l'ossatura. Jean Amery (Hans Chaim Mayer) nel suo fondamentale - e intendo fondamentale per la vita - Un Intellettuale a Auschwitz racconta la sua lenta discesa al nucleo dell'esistenza. Amery vive la vita mentre essa si disgrega pezzo pezzo, mentre passa dalla strada a una prigione delle SS e da questa al campo di concentramento: ciò che rimane alla fine è solo un pezzo di carne. Amery mostra con estrema crudezza come il sapere stesso, le nostre conoscenze e le idee che ci apparivano così brillanti e che magari ci facevano sentire "elevati" rispetto agli altri, siano perfettamente inutili all'interno di un campo di concentramento o durante una deportazione; la brutalità della vita descritta da Zapffe è presente ad Auschwitz in forma addirittura ovvia, materializzata nelle violenze delle vittime sulle vittime.
  Nella prospettiva di Zapffe gran parte dell'esistenza umana come l'abbiamo vissuta fino a oggi sarebbe fondamentalmente costituita dalla ricerca di ancoraggi che possano sostituire o rafforzare le nostre verità dotate di scadenza e mascherare la sofferenza quotidiana. Il grande problema con gli ancoraggi è che fanno sentire gli individui 'legati', costretti e soffocati (come ci ha insegnato la psicanalisi) entro i loro limiti angusti, tenderemmo perciò a volerci sentire liberi recidendo i lacci che definiscono la nostra esistenza; il momento del "taglio" degli ancoraggi è l'istante in cui, desiderosi di ritrovare una vita autentica e autosufficiente, rischiamo di precipitare nel vuoto dell'assenza di significato: gli stessi ancoraggi erano il significato dell'esistenza, essi definivano i nostri "contorni" individuali.
  • Distrazione: "This is typical even in childhood; without distraction, the child is also insufferable to itself". Come Pascal suggerisce nei Pensieri (anzi non suggerisce ma afferma, afferma con violenta disperazione) l'essere umano necessita di continue distrazioni, senza di esse il senso della sua esistenza si dissolverebbe come fumo nel vento; lasciato solo a sé stesso l'individuo si mescola con l'ambiente circostante fino a scomparire: si spegne lentamente di morte naturale o si toglie la vita. La distrazione è il metodo principale con cui gli umani portano avanti la 'cospirazione' dell'isolamento nonché l'unico modo conosciuto per sopportare gli ancoraggi. Chi spenderebbe buona parte della propria esistenza a lavorare per mantenere una famiglia se non potesse spendere parte di quel denaro in distrazioni? Chi servirebbe indefessamente lo stato se non gli fosse poi riconosciuta una certa partecipazione alla gloria di quello stesso stato?
 Il desiderio di distrazione è intrinsecamente compenetrato dal senso di mancanza: in alcuni passi dello Zibaldone di Leopardi - come in tutto il leopardiano La Persuasione e la Rettorica di Carlo Michelstaedter - l'ansia e la mancanza sono definiti il motore dell'agire umano, ma attenzione! Ponendo la mancanza alle fondamenta dell'esistenza Leopardi non nega (come non neghiamo neppure Noi) l'importanza del desiderio, lo innalza anzi ben al di sopra del mero 'istinto di sopravvivenza' descrivendo l'eccesso di desiderio che caratterizza l'umano, il surplus di brama che si rovescia in insufficienza. Allo stesso modo la nietzscheana volontà di potenza non rappresenta il solo desiderio di rafforzarsi ma anche quello di godere della propria distruzione; per Nietzsche solo le belle apparenze, l'arte e le distrazioni, sono in grado di aumentare la potenza e spingere all'azione creatrice.  
  Ci domandiamo tuttavia quanta distrazione sia necessaria affiché l'uomo desideri ancora. Quanti balli e canti e ninnananne servono per spingere un primate "troppo cosciente" a godere della vita e della propria autodistruzione? Decisamente troppi, risponderebbero il pessimista o il depresso.

  In The Last Messiah Zapffe indica come solo pochi esseri umani, un ristretto numero di 'ottimisti' radicali, siano in grado di sopportare l'esistenza; tutti gli altri occuperebbero posizioni ambigue o dichiaratamente pessimiste. Osservando la distrazione si comprende quanto essia sia fondamentale allo strutturarsi della civiltà: ne è il cemento, il collante sociale e l'obiettivo finale. Come conclude Zapffe la vita degli umani non è solo un "marciare verso" ma soprattutto un "fuggire da", solo comprendendo questa sottigliezza in una prospettiva pessimista si può vedere come per l'umanità non vi sia nessun progresso, nessun destino razionale, nessuno sviluppo lineare ma solo una fuga disordinata in tutte le direzioni.

  • Sublimazione: si tratta della tecnica di evasione più rara e raffinata; ciò che Nietzsche definì come potenza creativa fu successivamente rielaborato da Freud sotto il nome di sublimazione: lo spostamento di una pulsione sessuale o aggressiva verso una metà alternativa al sesso o all'aggressione, una sorta di 'terza via' che possa scaricare l'energia pulsionale venendo riconosciuta dal gruppo al quale l'individuo appartiene. La strada della sublimazione è per Zapffe come per Freud quella dell'arte, tuttavia in questo specifico campo di battaglia ciò che viene sublimato è la percezione della dimensione tragica della vita: sappiamo perfettamente cos'è che non va, la sofferenza e dentro di noi e di fronte ai nostri occhi, eppure possiamo deviare questa intuizione paralizzante verso una qualsiasi attività che produca godimento estetico e dunque distrazione. Vale la pena ricordare in questo contesto l'importanza che Hegel conferì all'attività artistica: dalle pitture rupestri al neoclassicismo plasmare la materia significa sottrarre terreno alla natura, imprimere il marchio dell'umano sul mondo e ottenere controllo su di esso; attraverso la produzione artistica l'umanita vorrebbe manifestare i diversi gradi dello Spirito e sovrastare la materia emancipandosi da essa. 
    Materializzare artisticamente la tragedia significherebbe per Zapffe rinconoscerla ma al tempo stesso negarla, sublimarla in una nuova "volontà di vita" che nietzscheanamente ricaricherebbe la nostra potenza. La vera tragedia ci attraversa in tutta la sua orrida grandiosità e il pessimista sarebbe già al corrente di questo; ogni tentativo di comunicare agli ottimisti questa verità non si può che risolvere in sublimazione e distrazione o, ancora peggio, in gloria per l'artista. Zapffe, rivoltando come un guanto l'etica-estetica di Nietzsche, scalza il primato dell'arte nella lotta alla volontà proclamato da Schopenhauer. A partire da The Last Messiah il romanticismo annidiato nel pessimismo viene espulso con disgusto per lasciare spazio a un enorme, inquietante Nulla: quel "nulla su due gambe" che è l'essere umano.

  Queste per Zapffe sono le quattro tattiche di evasione messe in atto dall'essere umano per 'ostruire' la ferita rappresentata dall'eccesso di coscienza prodottosi nel corso dell'evoluzione di Homo
  In The Last Messiah Zapffe fa riferimento a una certa istanza evolutiva, da lui definita il "sacro richiamo del sangue" (figura già presente, sotto le denominazioni "demone" e "sangue" nella filosofia della redenzione di Mainlander) ovvero una bejahung (affermazione) da intendersi nietzscheanamente come amor fati scevro di negazioni; per comprendere appieno questo passaggio è meglio avvalersi dell'esempio riportato dal filosofo norvegese all interno del testo: il cervo gigante (megaloceros giganteus), vissuto tra Pleistocene e Olocene, fu uno dei mammiferi erbivori più imponenti e diffusi tra tutta la megafauna della regione Paleartica; secondo una teoria accreditata la selezione sessuale del cervo gigante era basata, più o meno come accade per i cervi attuali, sull'ampiezza del palco di corna; la conseguenza più immediata di tale selezione fu la generazione di esemplari di cervo dotati di palchi di corna sempre più ampi e pesanti. Ma cosa accadde al megaloceros giganteus? Perché non lo vediamo percorrere le steppe innevate in tutti i suoi due metri di altezza al garrese? Le ipotesi più accreditate lo vedono estinguersi a causa di una perniciosa forma di osteoporosi dovuta all'enorme dispendio di calcio e fosfato necessari alla proliferazione dei palchi; secondo altre ipotesi il palco di corna rallentò sempre di più la fuga del cervo dai predatori, in particolare dall'ultimo arrivato: l'uomo. 
  Per Zapffe il cervo gigante è l'esempio di un'affermazione sincera, di una coincidenza di scopo e di morte: il megalocero ha seguito il richiamo del sangue, si è riconosciuto fino in fondo come "il" portatore-di-corna, spegnendosi eroicamente. Quale sarebbe invece la preoccupazione dell'essere umano? La stessa che avrebbe tenuto impegnato il cervo gigante nel caso in cui avesse deciso di spezzare saltuariamente il proprio palco di corna. L'uomo prodiga tutti i suoi sforzi a negare la sua peculiarità, la sua follia originaria e la sua inadeguatezza; l'essere umano, animale troppo cosciente dovrebbe per Zapffe perseguire il suo destino evolutivo, se il cervo avesse infatti realmente deciso di sfoltire il proprio palco non sarebbe comunque riuscito a evitare l'estinzione, questa sarebbe solo stata rimandata di poco.

  Cosa vuol dire perseguire un destino? In The Last Messiah Zapffe ci sta spronando verso una radicale forma di accelerazionismo? Si! Solo se per accelerazionismo s'intendesse l'accelerazione verso l'estinzione della razza umana. Per ogni vero pessimista siamo animali inadeguati e "malriusciti" quanto il megalocero, sofferenti e per di più immersi in una dimensione naturale sofferente e lacerata nella quale siamo costretti a lavorare, ammalarci e morire. 
  Zapffe conclude il suo breve scritto con un motto, un epigramma che forse non entretà mai nella storia della filosofia ma che incide le carni della filosofia facendone sgorgare il sangue:

  
   "Consoci te stesso, sii infertile e lascia che la terra sia silente dopo di te".




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