sabato 23 gennaio 2016

Il Nefilim: metafisica di un'aberrazione economica




C'erano sulla terra i giganti a quei tempi, 
                gli eroi dell'antichità, uomini famosi
                                                                                                                                                                       Genesi 6:1-8 


Dall’interno dell’automobile il manager osserva il mondo esterno come i prigionieri fissano la parete nel mito della caverna: sui finestrini scorrono delle proiezioni, vicine ma distanti, incomprensibili nel loro brulicare incessante. Egli è l’Unico che scruta da una posizione sopraelevata, in un certo senso privilegiata: qualcosa cattura la sua attenzione ma è un istante fugace, c’è altro cui pensare, molte cose devono essere fatte, troppi avversari emergono all’orizzonte; è il tempo della mobilitazione totale, della guerra sporca, il tempo dei giganti nefilim, gli uomini noti a tutti. 
   «Venga il regno dell’ascesi intramondana, restituisca al ventre della terra le formiche che la intasano con la loro mediocrità; che restino solo i giganti, poiché gli dei sono già caduti» 


  Il dominio del nefilim è radicato nel disprezzo, in particolare della lentezza e dell’inoperosità: l’efficienza è la condotta del semi-dio capitalista e il culmine di essa si manifesta nell’attesa del premio che per necessità ne deriva. 
  Kant, nella seconda critica, illustrò il dovere morale di non fare dell’altro un mezzo ma un fine in sé, eppure, escludendo che io possa vivere "cristianamente" per gli altri ogni istante della mia vita, appurato che di essi mi servo mio malgrado ogni giorno, posso ancora odiarli, amarli, sopportarli o esser loro indifferente. Per il nefilim la situazione è radicalmente diversa: egli è ‘pastore di genti' e tutta la sua sensorialità si espande nei corpi dei suoi sottoposti. La guerra quotidiana, fieramente combattuta sul terreno dell'economia, l’ha cambiato profondamente e, se in principio provava sentimenti umani per chi lo serviva, dispensava pacche sulle spalle e sorrisi cordiali, i suoi dipendenti sono ben presto divenuti una serie di oggetti utili o utilizzabili in vista di uno scopo. Le reali sembianze di una qualsiasi squadra sono quelle di una macchina funzionale a un risultato, guidata da una mente centrale che ‘eccede’ nelle menti delle singole parti-ingranaggio; in questa sorta di legame telepatico quelli che dipendono dal nefilim fanno di esso l’oggetto di un pensiero costante, giacché se essi non lo pensassero più egli sparirebbe, tornerebbe a essere un uomo come un altro, ma questa è un’ipotesi remota, addirittura impensabile, poiché più spesso è la strada ad avere questo potere: spogliare l'imperatore dei suoi vestiti nuovi, ricondurlo alla matrice originaria di uno-tra-i-tanti che può essere aggredito, osservato, toccato, annusato. L’incubo del nefilim è la strada nella quale i cospiratori lo getteranno, dove sarà indistinguibile dagli altri; tuttavia, se in un brutto giorno egli potrebbe finire "in mezzo a una strada",  per oggi attraversa la città su un’automobile sicura, un’oasi incastrata nel traffico cittadino, un ecosistema differenziale. 
  L’esperienza ansiosa che il nefilim vive nel suo viaggio verso il posto di lavoro è particolarissima: egli si sta lentamente disgregando, come uno scoglio esposto alle onde, si stacca da terra come sollevato da una miriade di palloncini, sta perdendo ogni contatto con quelle immagini in movimento sui finestrini. Non riesce mai a chiacchierare sinceramente con l’autista - avrebbero poco da dirsi - né conversa di frequente fuori dall'ambiente di lavoro, trova tuttavia un certo sollievo comunicando con quelli come lui, che ne condividono le preoccupazioni e i traguardi, ma si tratta pur sempre di un evento bizzarro, addirittura paradossale, come se durante la guerra i generali di due eserciti contrapposti s’incontrassero per scambiarsi opinioni e raccontarsi storie: la somiglianza che intercorre tra i partecipanti a uno scontro militare è solo apparente, ognuno di essi persegue un obiettivo talmente differente, talmente inconfessabile, che lo esclude indelebilmente da ogni altro concorrente. Quell’obiettivo è l’Unico, il sopravvissuto, quel fine per il quale ogni altra cosa è un mezzo. 
  
 Dall’interno della sua fortezza interiore il nefilim riflette sui suoi traguardi: 
«Ci deve essere qualcos’altro in me» pensa, «qualcosa che non sia un fine ‘consumabile’, qualcosa che mi consenta di mondare la lordura della polvere, di mitigare la solitudine della guerra e che al tempo stesso mi renda più forte e completo». Mens sana in corpore sano; "diventare un Buddha in quattro settimane".  
  Persa ogni zavorra il nefilim torna al cielo dal quale è precipitato sulla terra: l’intuizione dell’origine solare della sua carica, un tempo privilegio di sangue (dunque divino), inebria la sua mente, sollevandola dalla mondanità verso la speranza di tornare alla casa paterna
  
«Padre, padre, perché hai abbandonato questo tuo Unico figlio?» 

  La pratica della meditazione e dell’attività fisica, l’attenzione per la dieta e l’ambiente quotidiano sono ovunque, in ogni tempo, indizi di appartenenza a una casta superiore: il lavacro spirituale scarica lo stress, condensa le energie e stimola la creatività, favorendo l'ascesi intramondana. Fin dagli albori della nostra specie si è tramandato che una buona salute coincide con bellezza, serenità e santità. Decrescere felicemente è il nuovo obiettivo del nefilim. 
  L'abbandono yogico del Nefilim è tuttavia un'illusione ottica, un trucco da prestigiatore, il suo odio per l’inattività, infatti, si rovescia solo all’apparenza, poiché i santoni che egli ammira lottano strenuamente con se stessi per un fine supremo, per una conquista divina. L’Arte della guerra applicata contro se stessi è l’ultima frontiera del benessere: il suicidio, la ‘grande politica’ dei pomeriggi meditativi e del farmaco omeopatico.

Cosa spera di trovare il Nefilim dentro la sacca di carne, ossa e liquidi che è il suo corpo? La domanda è retorica, giacché è proprio questo il punto. Egli si è ‘reificato’ da : ha fatto di se stesso un mezzo per un fine sfuggente, inafferrabile poiché se fin dall'inizio egli era il suo fine, al contempo doveva essere il mezzo per ottenerlo. É un dramma post-kantiano e la trama è semplice: l’Unico fin dalla più tenera età si è fatto largo tra i suoi simili con impeto di affermazione e più lottava più il suo corpo si faceva l’ambito della sua lotta, lo strumento con cui spostava i confini del suo regno; a ogni metro quadro conquistato la sua individualità si condensava in un punto indefinito: in un primo tempo egli era unico per il suo corpo e la sua mente (le sue ‘doti’) ora lo era per un ‘qualcosa’, una nebbiolina che emanava dal suolo paludoso del suo dominio. Il Nefilim ha spinto se stesso così oltre che tutto il suo essere, proiettato a velocità enormi, è divenuto un proiettile, un unitario mezzo totale. Come Marx ed Engels dichiarano nell'Ideologia tedesca l’Unico è un fantasma, è il punto sfuggente che non può essere osservato raggiunto o, come afferma Lacan, è il fallo che viene scambiato per Dio
  La folle corsa del nefilim si è così conclusa in uno scoppio di fuoco d’artificio e le polveri vengono ora trasportate lontano dal vento.  
  Il sacco di carne cerca un fine, anela a una fine qualsiasi, ma essa è già arrivata da tempo. L’anima del nefilim si è ripiegata in sé, in quieta contemplazione: I suoi gesti sono duri, decisi e veloci come sempre ma egli non li riconosce più. É alienato. 
  L’economia si è convertita in ecologia, o meglio etologia: una questione di predatori e prede.
  





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